mostra personale Bologna gennaio 2010


SPAZIO MULTIMEDIALE - UFFICIO ANNUNCI ECONOMICI IL RESTO DEL CARLINO GALLERIA 9 COLONNE /SPE
Via Boldrini 10 Bologna
orario: 9/13 - 14/17.30 sabato e festivi chiuso
mostra nr. 350
organizzazione D’ARS–tel. 02-860290
dal 28 gennaio all’11 febbraio 2010
Nell’ambito della rassegna sull’Allunaggio

mostra personale di
GIORDANO REDAELLI
in contemporanea all'Artefiera di Bologna




L’importanza delle piccole cose
di Grazia Chiesa

Ebbene sì, senza avere a portata di mano le Golia mi sento a disagio.
Delle Golia mi piace il sapore, la morbidezza del loro corpo, il colore, il profumo. E il loro “Vestito”: sul bianco della carta il verde traccia una stella formata da due triangoli, stella che diventa messaggio e che, se messa in sequenza, ricorda quelli che sono i grani del rosario.
Non solo decorazione nell’involucro dunque ma messaggio.
L’incontro con l’arte di Giordano Redaelli, con il suo modo di esprimersi in arte, è stato per me fondamentale proprio per la sua attenzione verso le piccole cose del quotidiano, da lui rivelate nella loro necessarietà. Direi che l’esempio delle Golia è eccezionalmente adatto per comprendere quello che l’artista vuole trasmettere. Cito altri ‘protagonisti’ da lui scelti: caffè, the, chewing-gum e immagini legate allo sport e alla danza, tutti elementi che si riferiscono al benessere del corpo e della mente, al piacere di ‘coccolarsi’, di prendersi cura di sé - vedi l’energia del miele nelle Caramelle Ambrosoli -. Lavoro che diventa grido di allarme, quando accanto alla confezione delle sigarette ripropone la frase “Il fumo uccide” affiancata da un magico e nero spazio che richiama un oscuro silenzio…Il messaggio artistico di Redaelli si rivela così potente perché tocca, del nostro intimo, zone forse a noi stessi sconosciute. Quelle che dialogano con il vivere quotidiano e che mettono più a fuoco della nostra coscienza le immagini con cui ogni giorno il nostro essere è in contatto.
È questa una rara e straordinaria dote che rende arte il messaggio artistico. Sento che quello che dico dell’opera di Redaelli è in totale armonia con il famoso aforisma di Pierre Restany: “L’arte specchio della vita è arte. Se l’arte si allontana dalla vita è colpa dell’arte, se la vita si allontana dall’arte è colpa dell’arte, la vita è quello che rende l’arte più bella della vita”.

gennaio 2010


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PACKAGING ART

di Nicoletta Bernardi

La pack-art utilizza un prodotto di largo consumo il packing, il contenitore, la veste… Ma che cos’è? Cos’esprime? Non è facile definire un prodotto artistico, un’attitudine. Non è facile connotare il frutto dell’esigenza creativa che muove ma non si spiega che a posteriori. E’ compito difficile perché contemporaneo all’atto stesso, che si svolge nell’oggi, nel tempo del quale facciamo parte che è notoriamente invaso da nuove proposte, nuove correnti, contaminazioni, critiche, nuove posizioni.
Ma proviamo ad utilizzare uno schema al fine di essere più chiari, uno schema che serva a definire.
La pack art, utilizza il packing come primo prodotto, come essenza dell’opera, ma vi unisce ogni genere di altro materiale al fine di completare, arricchire, dare maggior innesco espressivo al lavoro.
La pack art è l’opera attraverso l’opera, il packing è già opera: è l’involucro che racchiude, frutto di innumerevoli interventi, dal creativo al grafico, al fotografo… La pack-art ama il packing, lo trova bello, seducente e simbolico.
Attraente deve essere di fatto ciò che nasce per invogliare all’acquisto e il creativo si lascia sedurre dalla propria opera nell’inventare ciò che dovrà stupire e attrarre attraverso forma, colore, dimensioni, piacevolezza al tatto. Le opere della pack-art sono non a caso toccabili e il rilievo evidente ne acuisce il senso del “vero”, del quotidiano, della materia.
Ma l’oggetto amato verrà gettato anche dall’artefice in quanto consumatore …
E quest’oggetto, di breve durata il cui destino è la spazzatura, è purtroppo solo in rari casi “riciclato”. Il riciclo però lo snaturerà, gli conferirà nuova forma, lo farà mutare.
La pack art è riciclo, si certo, ma come atto d’amore per l’oggetto. L’opera vuole essere immagine della quotidianità, forse più reale. Toglie l’oggetto dal contesto e lo evidenzia, lo ripropone come fece Marcel Duchamp. E’quindi uno specchio di noi stessi, dei nostri modus vivendi e operandi, dei nostri limiti.
Come diceva Beckett: "Quel che non serve, via". Via la pittura-scultura, via il compiacimento estetico, via i materiali canonici dell'arte - sostituiti da oggetti trovati - via l'asservimento ai valori del sistema dell'arte, incluso quello dell'avanguardia. Quel che rimane è un groviglio di rimandi nascosti sotto le apparenze di banalità. L'opera penetra negli interstizi della quotidianità creando pensieri nuovi.
Differisce dall’arte concettuale di Cildo Meireles, famose le sue bottiglie di coca-cola reimmesse sul mercato recanti nuovi messaggi da lui scritti sul vetro. Perché la sua era una visione critica del sistema di scambio delle merci e un’ allarme per la progressiva deteriorizzazione dell’ambiente.
Nella Pack - art il messaggio non è gridato, niente è invadente o troppo chiaramente espresso, non c’è slogan. E’ il paking che documenta ciò che abita un passo poco dietro il presente. Come diceva Tommaso La Branca: “ L’emulazione, poiché si rifà a un modello precedente, è necessariamente in ritardo, il Trash (spazzatura) è l’espressione di un ritardo” che racconta un’ epoca e le sue contraddizioni.
Il compito del creativo è rendere più attraente possibile ciò che vestirà il prodotto, ciò che lo rappresenterà. Il packing è la rappresentazione del bello, e non entra nel merito della valutazione del prodotto, della sua qualità. La pack – art nasce dal desiderio di riutilizzare il packing, ciò per cui si è pensato, inventato, ciò che si è amato, a cui si è dedicato tempo e da cui ci si è lasciati attrarre come bambini. Si evince, infatti, dall’opera un aspetto ludico, un gioco che racconta chi siamo, chi siamo stati, attraverso il “riutilizzare” ciò che già è stato manipolato, usato, ciò che andrebbe gettato .
La pack-art è l'idea di conferire dignità ad oggetti comuni (si pensi alla latrina capovolta che Duchamp intitolerà "Fontana"). Ed è certo un omaggio a Warhol, lui stesso nato come grafico, come fautore dell’involucro, trasformò addirittura i personaggi in prodotti di consumo. A testimonianza di quanto l’immagine fosse più attraente della persona e assumesse vita propria staccata da ogni contesto, o meglio cambiando contesto, diventando prodotto. Warhol adopera però multipli, copie, riproduce l’oggetto e non lo adopera fisicamente ma solo concettualmente.
La Pack - art utilizza ogni singolo oggetto, un insieme di lattine ad esempio non è la riproduzione di una lattina ma un collage di oggetti. Ognuno dei quali manipolato, rielaborato.

Forse l’arte si può esimere dal connotare i tempi? Tempi di immense contraddizioni quelli che ci appartengono e condividiamo, di “sismi” sociali, politici, economici e ambientali, che accomunano tutti i popoli come forse mai nella storia. Sismi che non possono non riguardare l’uomo, il singolo, il pensiero, la coscienza.
Nella formulazione freudiana, la coscienza, è una qualità della mente che di solito include altre qualità, ad esempio la soggettività, l’autoconsapevolezza, la conoscenza e la capacità di individuare le relazioni tra sé ed il proprio ambiente circostante.
Nel linguaggio comune, si intende per coscienza la consapevolezza dell’ambiente circostante e la facoltà di interagire con esso. L’arte può non essere cosciente? Forse l’ispirazione si.
Ma raramente nell’arte, nell’opera e soprattutto a posteriori non si riscontrano tracce “coscienti”. Critica e manifestazione del sociale, tracce di antropologia sociale e filosofica.
La pack art – art è arte cosciente? E’ critica dell’ ”oggi”? E’ contemporanea?
Mai come oggi niente è più contemporaneo delle domande sul nostro operato, su ciò che ha spinto l’uomo ad essere ciò che è.
Così contraddittorio, insicuro, destabilizzato.
Una riflessione sul passato è d’obbligo, quando l’oggi non funziona e non è in grado di proiettarsi nel futuro, non è in grado di vederlo, immaginarlo e sognarlo.
L’impressione è di vivere un momento di passaggio che non può che entrare a destabilizzare ciò che si credeva erroneamente assodato.
L’artista della pack art testimonia un tempo, l’attuale, attraverso un documentario, un raccontare noi stessi con il gesto dell’oggi e la materia di ieri, già stata, già usata. La materia che ci ha ammaliato, catturato e con la quale siamo vissuti, cresciuti, che ha modificato e veicolato il nostro comune senso estetico, il nostro pensare ed agire. Ha modificato i nostri valori, forse i sentimenti, attraverso l’invasione voluta, cercata e subita.
Se è vero che l’arte pone interrogativi prima di risolverli allora la pack art è arte di oggi.
Ai fini dell’esplorazione del banale, del quotidiano, dell’ordinario, cioè di quel “rumore di fondo” che sottolinea la nostra esistenza, niente è indegno di essere ammesso nel recinto sacro dell’opera dove gli oggetti sono inseriti, incollati, plastificati, occultati o evidenziati. Lea Vergine - Quando i rifiuti diventano Arte, 1997.
Nella pack-art c’è quindi uno sguardo al passato e non soltanto nelle grandi ed evidenti citazioni ma nel modo di creare. L’artista del packing va più indietro, quando l’opera era manuale e il gesto era gesto efficace e creatore ma anche atto estetico in se. Fa del proprio lavoro meditazione e investimento di tempo. E’ lavoro manuale e minuzioso, quasi da miniaturista. Assimilabile al lavoro dell’artigiano.
Quindi: artigiani del pack, forse testimoni d’un tempo che sta sparendo … E le Opere saranno perciò tracce, ciò che resta di qualcosa che è accaduto. Testimonianze, frammenti che ricomposti a posteriori lasciano intravedere un disegno che via via si è andato componendo. Non c’è nessuna regola da far valere, nessun valore predeterminato da rispettare.

dicembre 2009